Esterina

martedì 5 maggio 2009


Mia nonna si chiamava Esterina, veniva da un piccolo paesino fra i monti della mia terra e ogni mattina alle prime luci dell'alba si infilava un paio di stivali marroni logori, lacerati dal tempo e dalla fatica quotidiana e andava a lavorare i due ettari di terra che i suoi genitori, entrambi contadini, le avevano lasciato.
Se avesse avuto le parole giuste per raccontare la sua storia lo avrebbe fatto con un pezzo come "Razza di conquista", avrebbe urlato "dell'ossigeno e della strada che non basta, della tramontana che secca, di una cucina stretta e del fango che può stendere". Chi fa musica oggi per lei è un quintetto di Massarosa in Toscana, che racconta storie che vengono dritte dal sapore della terra, proprio con il suo nome: Esterina. Il loro "Diferoedibotte" è un album che ha il sapore della pasta fatta in casa, della schiettezza della provincia, delle parole che possono diventare tossiche se confezionano ipocrisie ma soprattutto è un disco che sa parlare di capacità d'indignazione ("Senza resa"), di chi non è stanco di cercare la pienezza nella vita ("Baciapile"). La scrittura importante è sorretta da una struttura musicale solida che riesce a combinare con naturalezza, la capacità di rottura e la grazia della canzone d'autore italiana, l'immediatezza e la malinconie delle ballate popolari, intagli e accelerate elettriche che si impastano a battiti sintetici . La varietà di strumenti che attraversa questo "Dieferoedibotte": dalle spruzzate di synth, agli accenni folk della fisarmonica, passando per il vibrafano, il theremin, suggeriscono un gradevole eclettismo compositivo e buona contaminazione musicale.
E' un disco diretto, fatto di canzoni che hanno un bel respiro. Un album che passa dai territori del pop ma ha un cuore grezzo, distorto, impetuoso. Un tuffo in quel passato musicale in cui le copertine avevano un profumo di menta e limo e il colore dei fiori di campo.

ESTERINA
Siamo degli estremisti
di Angela De Simone
Pur essendo uscito da quasi un anno, Diferoedibotte, disco d’esordio degli Esterina, continua a farsi apprezzare per la qualità e la personalità dei brani contenuti. Il gruppo toscano è una delle realtà più sorprendenti del rock italiano degli ultimi anni: approfondiamo con il cantante e chitarrista Fabio Angeli tematiche e influenze della loro musica, non tralasciando qualche curiosità sul nome al femminile che si sono scelti, ci dicono, dopo aver dibattuto non poco tra di loro.

Iniziamo dal principio. Avete alle spalle dodici anni di esperienza, in cui con gli Apeiron avete “ricercato nel rock le vostre ragioni”. Trovate? O per non averlo fatto avete cercato il cambiamento?
Abbiamo cercato nella musica che abbiamo potuto le “ragioni”, non è importante averle trovate, forse è necessario considerare solo il processo che ci porta, che ci lega ai significati. Ragione come facoltà inconsistente della nostra esperienza. Viceversa, non c'è niente di più morto di un uomo con le sue ragioni. Molto meglio avere torto a quel punto. In questa contraddizione sta per noi il senso dell'arte e delle musiche fuoriuscite dal loro genere.

Quando è arrivata Esterina? È nata con l’incontro con il produttore Guido Elmi?
Esterina all'anagrafe diciamo pure di sì, venivamo da una storia diversa e portavamo ancora un nome di un'altra esperienza. Per ragioni legali (inizialmente) abbiamo dovuto pensare un altro nome ed è stata anche un'esperienza un po' dolorosa, ma non troppo. Chiamarsi nuovamente e con un nome di donna ci ha fatto bene. Pur essendo una parola sola, ci ha riconsegnato un immaginario che era tanto necessario quanto latente. Ogni gruppo è, oltre alle cose che ha da dire, la possibilità che ha di farlo, Guido ci ha dato una possibilità di poterlo fare.

Oltre alla classica strumentazione da rockband (chitarra, basso, batteria) usate strumenti assai particolari, in un certo senso un po’ retrò, come può esserlo il theremin. Com’è nato questo interesse? Che studi ci sono dietro?
Sì. Siamo gente curiosa. Il theremin che citi è il primo strumento elettronico mai costruito (1919) abbiamo acquistato da poco un Piano Rhodes Mark I della metà dei settanta, poi abbiamo un harmonium del 1926 costruito a Viareggio. Ci interessano molto gli strumenti vecchi così come quelli contemporanei, ma se ci pensiamo bene tutti gli strumenti del rock sono retrò (per usare una parola che usi te) la mia Gibson Les Paul Custom è stata prodotta nel 1993 ma è la versione aggiornata della Les Paul che è stata prodotta nel 1952, quindi una trentina di anni dopo il theremin e entrambi in un modo e nell'altro derivati dall'impulso industriale dovuto alla produzione bellica. Capire come gli strumenti sono stati inventati è una cosa importante, anche il Rhodes Mark I deriva da un piano che era costruito con dei resti di bombardiere B-17. Qualcosa ci deve dire per forza. No?

Esterina è un nome singolare. Da dove nasce?
“Esterina, i vent'anni ti minacciano” è il primo verso di una poesia di Montale molto famosa: Falsetto. Dalle nostre parti in un modo del tutto sorprendente molte donne sole e anziane, si chiamano o si fanno chiamare Esterina. “Esterina” è anche un film di Carlo Lizzani del 1959 che racconta le vicende di questa giovane contadina che si muove dalla campagna alla città, anche se il film non ebbe molto successo la rappresentazione che fa di questo viaggio, di questo spazio da colmare tra campagne e città negli anni della deturpazione definitiva dell'equilibrio millenario tra essere umano e ambiente, del fraintendimento epocale che tutt'ora ne deriva di benessere e status sociale metropolitano è molto interessante e ci riguarda da vicino. È un nome non convenzionale per una rock band, ci siamo scannati per decidere. Mi sembrano ragioni sufficienti per amarlo.

Balza subito all’orecchio la scelta del linguaggio. Una commistione in perfetto equilibrio tra italiano e parole prettamente toscane difficilmente traducibili. È un modo per sottolineare un forte senso d’appartenenza al territorio e soprattutto ai suoi valori?
Non abbiamo appartenenze. Non dobbiamo difendere nessun valore. Chi lo fa (da sempre) lo fa per averne un ritorno in termini di potere. Come chi difende i valori della famiglia e poi vorrebbe il mare pattugliato dalle navi della Marina Militare con il permesso di avere la coscienza pulita ad affondare le zattere dei disperati (di altre famiglie!). Chi parla di valori in termini di appartenenza lo fa sempre per parlare di se stesso, con un intento pornografico e non di ricerca del valore che cerca di descrivere. È una cosa che non ci riguarda. Il lavoro che facciamo sulla lingua è cercare di essere più scoperti possibile. Di fare più male possibile, di andare più fondo possibile. Il dialetto in alcuni casi è più vero dell'italiano, più radicale, e anche più moderno. Sta alla lingua come il sudore alla fatica.

Questo lavoro è pieno di contrasti: packaging, rock che in certi punti rasenta il metal e trascinanti ballate lente; terminologie quasi auliche e dialetto; ricercati suoni sintetizzati e prese dirette dalla natura e da ambienti di vita quotidiana. Sono dicotomie che vi portate dietro dalle vostre esperienze?
Anche se non l'avete potuto vedere per bene, la verità è che siamo degli estremisti. Tutto qui (sorride, ndr).

Denuncia verso la società, attaccamento ai valori autentici, natura. Portateci un po’ in viaggio tra le tematiche dei vostri pezzi.
Se dovessi sintetizzare le tematiche dei nostri pezzi, cosa per altro non richiesta, direi che cercano senza riuscirci quasi mai di muoversi nel dolore. Anche la bellezza è un dolore. Il dolore curato per bene.

Esterina preferisce città o campagna? Italia o estero?
Sì, Esterina è nata qui in un posto molto lontano dalla città. Non credo che si tratti di scegliere dove uno sta meglio o preferisce restare, eleggere un luogo a residenza ideale. Lasciamolo fare a ogni americano che dopo una vita bulimica nelle metropoli riscaldate o raffreddate a seconda della stagione e della latitudine poi se gli è andata bene si fa la casa nel Connecticut con il barbecue di ordinanza a declinare ancora e all'infinito la simulazione della propria esistenza. Facciamo scegliere Veltroni. La storia di Esterina è quella di persone che si trovano per “campare” senza aver scelto di starci. Molti posti possono essere belli se ci stai con le persone che possono esserti compagne.

Una canzone non vostra che vi rappresenta di più e perché…
Non saprei scegliere una canzone che mi rappresenta, tanto meno una canzone che ci rappresenta. Siamo persone così diverse, a volte così antitetiche che l'operazione che mi chiedi dà “errore”. Ti posso dire la canzone che sto ascoltando adesso e che mi racconta più di altro: Last Flowers dei Radiohead.

In molti vostri pezzi si legge una forte critica al decadimento della società verso denaro e opportunismo a scapito di sentimenti sinceri e autentici. Soluzioni da proporre?
Soluzioni? Non credo che possiamo pensare che esista una soluzione. C'è una fine e ci sono ancora diversi modi per arrivarci. Credo nelle persone e sarebbe bello, anche senza riuscirci per niente, provarci per davvero a venirne fuori. A fare che sia “basta” di tradirci così ogni giorno. La nostra parte è quella di iniziare a raccontarlo senza risparmiare niente.

Diferoedibotte non è certo, e per fortuna, un prodotto commerciale. Quanto è stato difficile fino ad ora destreggiarsi nel mercato discografico italiano? Quali sono le vostre aspettative?
E’ stato semplicemente quasi impossibile. Il mercato discografico italiano non esiste per gli indipendenti perché non esiste un interesse sociale diffuso. Noi speriamo di andare in giro a suonare e vedere se qualcuno che ci vuole ascoltare esiste davvero.